Intervista a Nicola Corestini, registrata giovedì 21 maggio 2020
Nicola Corestini si racconta al termine del finale forzatamente anticipato di stagione, che lo ha visto concludere il campionato Juniores Nazionali (Girone D) al primo posto. Pochi giorni fa, la decisione di lasciarsi consensualmente con il Legnago Salus, alla ricerca di una nuova sfida da intraprendere.
Cosa pensi del finale anticipato dei campionati giovanili?
Dovevano dirlo prima, era ovvio finisse così. Dispiace perché quest’anno sono partito già con l’idea che il girone Juniores fosse solo un passaggio per arrivare alla fase finale. Io guardavo già avanti, volevo andare alle finali e poi giocarmela, perché poi là è tutto diverso, il clima, la gente che viene a vedere, è un altro campionato quindi mi è dispiaciuto un po’ finirla, era la parte più bella quella che mancava.
Anche per la Serie D stessa è stato un peccato.
Anche in quel caso mancavano tante partite e potevamo giocarcela bene, con tanti ragazzi giovani fino alla fine saremmo andati forte.
Le esperienze degli ultimi anni.
Negli ultimi 3 anni ho sempre allenato la Juniores del Legnago. L’occasione è arrivata un po’ dal nulla: il primo anno ho allenato gli Esordienti a 11, il loro primo anno. Io per entrare a Legnago ho accettato di partire da lì, venivo dall’esperienza al Bevilacqua, società molto più piccola, dove ero reduce dalla vittoria del campionato Allievi provinciali, però ho cambiato per approdare in una società più grossa, quindi va bene. A fine anno, è emersa l’opportunità della Juniores e, quasi senza pensarci, ho scelto di accettare. Il primo anno all Juniores è stato un po’ un’improvvisata: avevamo tanti fuori quota, la rosa troppo corta, è stato tutto un tirare avanti e alla fine abbiamo concluso il campionato a metà classifica, in un girone difficile, quello emiliano-romagnolo: c’erano Rimini, Forlì, Cesena (all’epoca Romagna Centro), la Virtus Verona. Un girone difficile appunto, ma ce la siamo sempre cavata bene. L’anno dopo la società ha deciso di mettere una dirigenza solo per la Juniores e con un’organizzazione così i risultati si sono visti: abbiamo puntato sul gruppo storico dei 2001 del Legnago che aveva sempre fatto bene e siamo arrivati dove siamo arrivati. Quest’anno idem, dimostrando che con la programmazione si può far bene.
Hai avuto anche collaborazioni con le prime squadre in precedenza.
Quando ero a Bevilacqua, gli ultimi 3 anni prima di approdare a Legnago, con la squadra in Prima Categoria, allenavo gli Allievi e contemporaneamente la prima squadra, proprio perché l’idea era quella di provare ad arrivare il prima possibile con i grandi. Tornando a Legnago questo passaggio in prima squadra è stato posticipato fino a quando, l’anno scorso, mi hanno proposto di andare in prima squadra in Serie D a fare il secondo. Quest’ultimo anno, finito prima, mi ha fatto capire molto delle prime squadre: un conto è lavorare con squadre al livello della Prima Categoria, come avevo già fatto, un conto è la Serie D. Qui c’è gente che vive di calcio e quindi pretende anche un certo comportamento da parte della società, dello staff, di tutti, è completamente diverso. L’ultimo anno è stato anchequello che mi ha fatto crescere di più.
L’annata vissuta con la prima squadra ha sicuramente aiutato…
È stata ad alti livelli comunque, con molti giocatori che meritano anche una categoria superiore. Sicuramente è stata un’annata importante perché siamo andati a vincere su campi di città ed è stata una stagione che mi ha dato esperienza e visibilità. Ero sempre in campo con loro e questo mi ha fatto crescere.
Come hai gestito il passaggio dalla Juniores alla prima squadra di alcuni tuoi giocatori?
Già l’anno scorso molti avevano esordito: Marchesini e Mantoan, per esempio. Quest’anno la società, proprio grazie alla stagione che abbiamo fatto l’anno scorso, ha deciso di mettere nella rosa della prima squadra più di qualcuno: Miatton, lo stesso Mantoan. Oltre a loro, anche altri quest’anno si sono alternati tra Juniores e prima squadra. Alcuni di loro sono cambiati totalmente perché allenarsi con i giovani o allenarsi con la prima squadra cambia completamente.Quando poi venivano a giocare con la Juniores la differenza si vedeva, soprattutto nei 2002. La collaborazione fra allenatore della prima squadra e allenatore della Juniores, in categorie così, è molto stretta e aiuta sicuramente molto fare il doppio ruolo perché conosci le dinamiche della prima squadra e sai cosa ti puoi aspettare il sabato, gestisci due squadre come fossero una sola.
Mi ha colpito vedere un allenatore così giovane allenare ragazzi prossimi al salto in prima squadra. Credo che nel panorama del calcio giovanile rappresenti un caso raro.
In tre anni di Juniores, della mia età non ne ho trovati. Solitamente si tratta di allenatori esperti, perché comunque questa è una categoria dove le società cercano sempre di inserire allenatori esperti, quindi giusto o sbagliato che sia, in Italia è questa la mentalità. Ovvio che se noi avessimo fatto male in questi anni sicuramente avrebbero puntato il dito contro la società. Questione di scelte.
Scelte ripagate nel tuo caso. Ben vengano scelte così. Quanto può essere difficile per un allenatore così giovane imporsi su dei ragazzi di 18-19 anni, un’età in cui sono frequenti anche “colpi di testa”?
Già quando avevo 25 anni ed ero a Bevilacqua allenavo gli Allievi di 17 anni, la differenza era ancora più ridotta, i miei 25 anni contro i loro 17.C’era poca differenza, ma già lì comunque mi trovavo a collaborare con la prima squadra e questo probabilmente mi è servito. Adesso me ne rendo conto di quanto poco esperto ero. Negli ultimi anni ho imparato tante cose. Devi allenare non pensando di essere al di sopra dei giocatori. I ragazzi ti inquadrano subito e capiscono immediatamente come si possono comportare. È fondamentale capire quando è il momento di fare una cosa o quando è il momento di tirare indietro, anche perché poi in un attimo rischi di perderli a quell’età: devi far vedere che sei loro amico, ma dall’altra parte sei pur sempre il loro allenatore.
Intraprendere così presto la carriera da allenatore significa aver preferito il calcio allenato al calcio giocato?
Ho smesso di giocare perché mi sono accorto che mi piaceva di più allenare. Negli ultimi anni facevo entrambe le cose: allenavo e giocavo, però era come un po’ fare le cose a metà. Quando giocavo, perdevo più tempo a vedere cosa faceva l’allenatore e pensare cosa avrei fatto io al posto suo. Non mi divertivo più a giocare quindi ho deciso di cambiare, provando a sfruttare la giovane età per crescere il più possibile, sapendo, purtroppo, che in Italia più sei giovane e più è difficile sfondare in questo campo. Non ci sono ostacoli legati all’età in alcuni stati esteri; in Italia invece sì, devi avere un minimo di età per allenare. Non sono completamente d’accordo con questo tipo mentalità.
Quanto tempo dedichi all’attività di allenatore?
Facendo prima squadra e Juniores, ero in campo dal lunedì al venerdì per gli allenamenti, al sabato la partita con la Juniores e alla domenica partita con la prima squadra, quindi tutti i pomeriggi dalle 14 alle 18-18.30. Era la mia unica attività, il campo, l’extracampo, gli allenamenti, studiare le partite, è una preparazione che va oltre il campo di allenamento, lo facevo a tempo pieno.
A livello giovanile poi non c’è lo staff che ha una prima squadra, quindi preparare una gara grava solamente sull’allenatore.
Sì, per forza. Poi in prima squadra con gli strumenti che ci sono adesso si trovano le partite che si vogliono quando si vuole. Con le giovanili le partite devi andartele a cercare: quest’anno, 2-3 partite sono riuscito a vederle in qualche maniera e mi hanno aiutato. Bisogna arrangiarsi, spendendo così molto più tempo per preparare una partita.
La passione quindi è fondamentale in quello che fai…
Sicuramente, perché se vuoi fare ciò in una certa maniera devi pensare di poter fare solo quello. Ovvio, che per chi lo fa come ho fatto io fino a quest’anno, l’obiettivo è quello di arrivare a fare solo quel mestiere nella vita. Se vai al campo per passare il tempo e per prendere un compenso economico i ragazzi in campo lo sentono e di conseguenza anche loro pensano di andare al campo per passare il tempo. Ai nostri livelli non puoi pensare di andare a giocare o allenaretanto per avere un passatempo, altrimenti non arrivi da nessuna parte, fa perdere tempo a te, ai ragazzi, alla società, a tutti.
Aver giocato a calcio aiuta poi ad allenare?
Sì, perché poi sai come funzionano gli spogliatoi, le dinamiche degli spogliatoi.Anche gli studi che ho fatto mi danno una mano (Scienze della comunicazione ndr), tutto ti aiuta a crearti la tua immagine di allenatore: capire lo spogliatoio e le dinamiche interne, capire chi è il più forte, chi è il più debole, gestire venti persone ma tutte in maniera diversa. Avendo giocato sai cosa significa, sai leggere le facce dei giocatori, capire quando hanno bisogno. È fondamentale saper leggere quelle cose, altrimenti se alleni pensando che tu sei al di sopra e che quello che fai vada bene in assoluto, da qualche parte sbagli perché devi accontentare venti persone. Devi capire cosa vorrebbero, cosa va meglio a loro e non pensare di avere la verità e quello che fai sia giusto per forza perché lo fai te. Hai venti persone che lavorano con te a tutti gli effetti.
Tu vieni da anni passati ad allenare i ragazzi, nel caso di chiamate importanti di prime squadre o da categorie più alte, cosa provocherebbe tutto questo in te?
Sicuramente soddisfazione perché arrivare alla mia età e ricevere attenzioni da parte delle prime squadre che, sì sono dilettantistiche ma c’è gente che investe soldi e tempo, quindi sapere che qualcuno possa pensare di dare a me l’incarico di portare avanti una prima squadra sicuramente mi darebbe soddisfazione. L’ultimo anno con la Juniores,così comeil tempotrascorsoad allenare in prima squadra, mi hanno fatto capire le differenze. Fra Juniores di questo livello e prima squadra a livello dilettantistico ci sono differenze a si ha a che fare con gente che vuole giocare a calcio non per semplice passatempo. Non avrei nessun tipo di problema, sarebbe gratificante e stimolante.
La tua massima aspirazione?
Arrivare al più alto livello possibile, che può essere arrivare alla Serie A per esempio.È difficile soprattutto se sei giovane, spesso sappiamo che ci sono altre dinamiche che subentrano, non soltanto i meriti, però può succedere anche di tutto quindi la speranza è quella di arrivare il più in alto possibile. L’ambizione è quella, soprattutto perché sono partito presto.
Aver bruciato le tappe ti ha dato una spinta in più?
Sì. Adesso può essere una cosa che va a mio sfavore l’età, nel senso che magari faccio fatica a trovare qualcuno disposto a darmi in gestione una prima squadra. Nel caso in cui avessi la fortuna o il merito di riuscire a farmi strada poi diventerebbe tutto a mio favore, perché essere così giovane e fare già prime squadre, allora verresti osservato anche da più società, da categorie diverse. Già aver allenato il Legnago Salusha significato qualcosa di importante, però ho sempre avuto l’ambizione di approdare in una prima squadra.
È più difficile diventare giocatore o allenatore ad alti livelli?
Sicuramente è più difficile diventare allenatore, per il semplice fatto che di giocatori ce ne sono 25 per squadra e di allenatore invece ce n’è uno. Un giocatore se ha le capacità e la voglia può arrivare dove vuole, perché se uno è forte non ci sono problemi di altre vicissitudini, come può essere l’allenatore, più soggetto a essere aiutato magari dalla fortuna oda qualcuno che lo accompagna.
Quanto conta per un allenatore l’ambiente circostante?Il calore del tifo per esempio, tanto può stimolare quanto può abbattere.
Quest’anno con la prima squadra siamo andati a giocare anche in piazze importanti come Mestre, Adria, Chioggia, che hanno la tifoseria organizzata. L’anno scorso abbiamo fatto un anno stupendo, allo stadio si è vista un po’ più di gente rispetto agli altri anni ma è sempre poca rispetto a quella che meriterebbe una piazza come Legnago. Con una tifoseria alle spalle, ti immedesimi: un po’ ti critica, ma magari anche ti esalta, cambia tutto.
C’è un campo in particolare che ti ha segnato più di altri?
Ce ne sono tanti, ti potrei dire la prima partita con la Juniores del Legnago a Forlì, abbiamo vinto 4-3 all’ultimo minuto, sotto di un uomo, avevo una tensione addosso che ricordo ancora. O anchedi Rimini ho un bel ricordo, sempre il primo anno di Juniores nazionali, abbiamo giocato allo stadio.Luoghi come questi ti lasciano tanteemozioni.Le sensazioni più intenserisalgonoall’anno scorso, contro il Mantova, al Martelli. È stato bello arrivarci.
Cosa deve garantirti una società perché tu possa accettare un’eventuale proposta?
Dovrei capire che è una società che cerca o che vuole un profilo come il mio. Se mi facessero capire che cercano un profilo simile e che hanno un progetto dove i giovani sono al centro.Se a questo si aggiunge anche un progetto a lungo termine in categorie importanti allora sono offerte che meritano la mia attenzione.