Rinaldo Vincenzi ha detto stop. Il calcio dilettantistico veronese perde non solo un bravo allenatore e una persona stimata da molti addetti ai lavori, ma un esempio per i giovani. Il tecnico di Cadidavid conclude una lunga carriera in panchina caratterizzata da gioie e qualche delusione. Prima di diventare mister, Vincenzi ha giocato da mediano e lui stesso racconta: “Il mio debutto in prima squadra è stato a sedici anni nel Cadidavid; durante il servizio militare ho giocato nel Bressanone e poi, dopo il congedo, ho militato nel San Giovanni Lupatoto e nel Buttapietra. Sono tornato in Trentino nell’Alto Adige e ho chiuso la carriera dove ho iniziato, ossia a Cadidavid”.
Una volta appese le scarpe al chiodo, ha iniziato ad allenare e il tecnico prosegue. “Ho collezionato 942 presenze in Prima Squadra e circa 400 nei settori giovanili. Ho guidato tante squadre e le soddisfazioni più grandi le ho avute con i due campionati vinti alla guida del Cadidavid, uno nell’Isola Rizza e uno nel Lavagno Mezzane. Avrei potuto centrare altre due promozioni, ma purtroppo ho perso gli spareggi ai rigori. La prima delusione da mister l’ho avuta nell’Isola Rizza: proprio qui ho conosciuto il mio primo esonero”.
Spostando l’attenzione sui giocatori, Vincenzi dichiara: “Secondo me, qualcuno avrebbe potuto fare carriera, mi viene in mente il portiere Tiziano Bertuzzo, il mediano Paolo Braga e la mezzala Francesco Sandrini. Il mio motto era: “Alleno la squadra migliore del mondo” e doveva rappresentare una sorte di autostima per tutti”.
Il tecnico ricorda un episodio quando allenava: “Nella stagione 86-87 guidavo il Cadidavid e contro la Scaligera, sotto di un gol, decisi di sostituire dopo diciotto minuti il terzino Giorgio Dalle Vedove. Alla fine quella partita la vinsi 4-1 e Dalle Vedove mi rinfaccia tutti gli anni quella sostituzione”.
Vincenzi spende infine due parole sul calcio attuale: “Adesso i dirigenti vogliono vincere tutto e subito; sarebbe bello invece tornare come una volta, quando il rapporto umano era al primo posto e c’era più sinergia tra dirigenza, allenatore e gli stessi giocatori”.